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Le etichette hip hop: grandi case discografiche disfunzionali?

Ha senso parlare di etichette Hip Hop oggi?

Due Mave Il Jedi Mascherato

i giorni di gloria delle etichette indipendenti hip hop

Le etichette hip hop: grandi case discografiche disfunzionali?

Ha senso parlare di etichette Hip Hop oggi?

Due Mave Il Jedi Mascherato 18/02/2021

Esistono ancora etichette hip hop che si dedicano alla produzione underground?

Non sono mancate le etichette e le case discografiche hip-hop che hanno prodotto musica di qualità e di spessore per tutti i famigerati anni Novanta. Qualche giorno fa, ripensando al Podcast tributo ai Groove Attackmi è venuto in mente che ai tempi, per gli amanti di un certo sound Hip Hop francamente hardcore, la situazione era oggettivamente florida.

E mi è venuto spontaneo fare un parallelo tra ieri e oggi. Anche se la situazione non è necessariamente la stessa, sembra che non tutto sia perduto. Facciamo un rapido ripasso e confrontiamo il passato con il presente.

Entra in scena lo stormo delle principali etichette discografiche: una resistenza sotterranea.

Tralasciando la pletora di realtà stratosferiche (e meteoriche, tutto sommato) che hanno animato la prima metà degli anni Novanta, con una produzione di 12 pollici divenuta cult tra gli appassionati (ci torneremo, un giorno), dalla seconda metà degli anni "mitico" Dagli anni Novanta ai primi anni Duemila, molti giocatori erano in gioco.

Mi riferisco alle etichette discografiche e a entità come la ben nota Fondle 'Em Recordso anche Rawkus, il già citato Attacco al groove, o ancora Intrattenimento Hydra, il Conferenza orientale, di Cali Ill Boogie di Dj M-Boogie, solo per citarne alcuni.

Erano i "mainstream dell'underground", di solito aiutati da importanti accordi di distribuzione, e sono stati seguiti per qualche anno da altri come Def Jux (e non cito intenzionalmente realtà come la Anticon o il Quannum Registrazioni, più che altro per una questione di suono, così marcatamente lontano dal boom bap ortodosso in stile newyorkese, che per mancanza di qualità), che ha segnato l'epoca che ricordiamo così bene.

Sia chiaro: questo non contrasta di per sé con il fatto che dopo il 1997 il suono fosse cambiato, e che fosse iniziata una fase per certi versi discendente: semmai quelle etichette e tutta la periodo dei backpackers (la moda/mania di andare in giro con lo zaino sopra la felpa con cappuccio, così anni Novanta e iconica di un periodo della moda streetwear, NDA), rappresentava la resistenza a un Hip Hop che stava, inesorabilmente, cambiando.

Ironia della sorte, quella sopra riportata è ancora la storia di una sconfitta.

Talib Kweli fuori dagli uffici dell'etichetta hip hop Rawkus a Manhattan

Talib Kweli fuori dagli uffici di Rawkus a Manhattan, circa 1998

La storia di una sconfitta, o di un'altra partita persa: l'amore per il vero hip hop.

Le etichette nate nell'apocalisse post-97, e venute alla ribalta in seguito, come la ben nota Stones Throw o I rimieratorihanno caratterizzato nel bene e nel male gli anni Duemila. Ma esprimevano e rappresentavano anche un altro mondo, spesso un ibrido di altri generi musicali, e in ogni caso non avevano lo stesso valore. Forse è anche per questo che esistono ancora oggi, in parte.

Lasciamo volontariamente fuori dall'equazione la maggior parte dei Paesi europei, come l'Italia, dove le pochissime realtà esistenti faticavano a rimanere in vita. Ciò non era dovuto tanto o esclusivamente all'evidente mancanza di professionalità nel settore, ma soprattutto all'oggettiva scarsità della base di ascoltatori, che rappresenta un ostacolo impossibile. E, considerando che l'onda ciclica di una marea modaiola che investe il nostro Paese si sta ritirando per l'ennesima volta, questa quantità non sembra destinata ad aumentare a breve, piuttosto a diminuire.

Ma all'estero? Questa era di retrofuturismo o la rinascita di un "classico", sembra avere come punto focale anche il rinnovato ruolo, o meglio la "rivincita" delle etichette hip hop: queste sono infatti tornate a rappresentare un'epoca.

L'arrivo dell'età, la rivincita delle etichette hip-hop nell'ultimo decennio.

Una realtà americana come Gruppo musicale Mello non si spiegherebbe se non si guardasse ai suoi punti di forza oggettivi: qualità degli artisti sotto contratto, metodi di distribuzione innovativi e controllo della qualità che non contrasta con la quantità della produzione.

Dall'album di Gensu Dean, che è stato un po' un revival del primo album nel 2012, dal 2015 l'etichetta ha messo a segno un successo dopo l'altro (basti pensare a L'Arancione e Kool Keith, il famigerato Oddisee, leggendario Pete Rock o Apollo Brown & O.C.) e ha visto anche il notevole ritorno di Il signor Lif.

etichetta hip hop underground Mello Music Group artisti Pete Rock, Oddisee, Apollo Brown

Pete Rock, Oddisee e Apollo Brown

Stessa logica per l'etichetta britannica Alta concentrazione. Da un'idea di Fliptrix, rapper e leader dell'etichetta, ci troviamo di fronte a una realtà economicamente stabile, con un parco artisti di primo piano, dischi di qualità, in quantità, curati in ogni dettaglio, anche visivo, ben distribuiti e ben promossi.

Risultato: concerti in tutta Europa, dischi in classifica e un milione e più di visualizzazioni sul loro canale Youtube. E nessun compromesso sul fronte del suono (tanto per sfatare un mito).

Potremmo aggiungerne altri, come il marchio britannico Blah Records, il francese Effiscienz, l'australiano Pang Records, o il Crate Cartel Records.

E, a dire il vero, ci stavamo quasi dimenticando dell'italiana Tuff Kong, guidati dal nostro amico Cunscome un altro brillante esempio di produzione hip hop underground contemporanea.

Nella stessa categoria si colloca l'ormai leggendario Daupe! del magnate/produttore hip hop britannico Il Purista, lo stesso uomo che per primo ha servito il mercato globale Westside Gunn e Griselda Recordsnel caso non l'abbiate notato. Oh, e non dimentichiamo di menzionare anche Roc Marciano, Azione Bronson, Danny Browne così via...

Anche nell'area non anglofona le cose si muovono in modo simile.

Prendiamo il giapponese DLIP: Fujisawa City, dopo il crollo modaiolo della scena di Tokyo, nel 2009 un gruppo di giovani rapper, produttori, DJ, skater, designer e b-boy di questa crew/label con una mentalità Nineties estremamente dura, con tanto di baggy jeans e Timberland. Tutto potrebbe sembrare fuori dal tempo, naturalmente, se non fosse che incarna ampiamente l'anima di questo revival. E si accompagna alla stessa logica già vista: buoni artisti, ottimi produttori, grafiche di valore e dischi su dischi, mixtape, singoli. Produrre mantenendo la qualità: non è un caso che uno dei 5 migliori dischi del 2014 sia dei Nagmatic e Parola di Miles coppia.

In ogni caso, la logica, su grande o piccola scala, è sempre la stessa: qualità della produzione musicale industriale e quantità costante di output.

Quindi, benvenuta alla rivincita delle etichette hip-hop senza compromessi, speriamo che duri.

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